Solo la parola
C’è una parola, una sola, della quale non si sa con certezza se abbia mai oltrepassato la barriera che separa il silenzio dal suono. Per quanto a lungo e incontenibilmente si sia parlato, infatti, la barriera fra il silenzio e il suono non ha mai cessato di esistere, ergendosi fino a condurre colui che parla sull’orlo del parossismo. L’incontinenza del linguaggio deve avere in quest’insormontabile ostacolo la propria origine. E lo straripamento della parola assume allora carattere di fenomeno cosmico: di cateratta, di eruzione vulcanica. E la parola che è in se stessa unità, congiunzione miracolosa della “fysis”, del senso che abbraccia e riunisce i sensi, soffio vivificante, impalpabile fuoco e luce dell’intelligenza, cade trascinata in basso più miseramente della pietra che almeno smetterà di rotolare quando avrà trovato un seppur minimo riparo al suo peso.
Il vuoto e la bellezza
La bellezza fa il vuoto – lo crea – come se quel volto che ogni cosa acquista quando è bagnata da essa provenisse da un lontano nulla e ad esso dovesse tornare, lasciando la cenere del suo sembiante alla condizione terrestre, a quell’essere che della bellezza partecipa. E che le chiede sempre un corpo, la sua copia, di cui per una specie di misericordia essa gli lascia a volte la traccia: polvere o cenere. E al posto del nulla, un vuoto qualitativo, segnato e puro insieme, ombra del volto della bellezza quando parte. Ma una volta creato quel suo vuoto, la bellezza lo fa suo, perché le appartiene, è la sua aureola, il suo spazio sacro in cui si conserva intangibile. Uno spazio nel quale all’essere terrestre non è possibile installarsi, ma che lo invita a uscire di sé, che spinge a uscire di sé, l’essere nascosto, anima accompagnata dai sensi; che trascina con sé l’esistere corporale e lo avvolge; lo unifica. E proprio sulla soglia del vuoto che crea la bellezza, l’essere terrestre, corporale ed esistente, si arrende; depone la sua pretesa di essere separatamente e persino quella di essere sé, se stesso; consegna i suoi sensi che si fanno tutt’uno con l’anima. Un evento che si è chiamato contemplazione e oblio di ogni cura.
M. Zambrano, Chiari del bosco, Bruno Mondadori 2004.