1° agosto 1978
[Forse già annotato]
Mi sono sempre (dolorosamente) stupito di potere – finalmente – vivere con la mia tristezza, il che significa che essa è, alla lettera, sopportabile. Ma – forse – è perché bene o male (ossia con l’impressione di non arrivarci) posso parlarla, fraseggiarla. La mia cultura, il mio gusto della scrittura, mi danno questo potere apotropaico, o d’integrazione: io integro*, grazie al linguaggio.
La mia tristezza è inesprimibile, e tuttavia dicibile. Il fatto stesso che la lingua mi fornisca la parola «intollerabile», realizza immediatamente una certa tolleranza.
* fare entrare in un insieme – federare – socializzare, rendere comune, gregarizzarsi.
R. Barthes, Dove lei non è, Einaudi 2010.